Crediamo davvero che il Fast Fashion possa essere facilmente eliminato, cancellato, superato semplicemente sventolando la bandiera verde dell’ambiente? Siamo realistici: la risposta molto probabilmente è NO!
Si stima che a livello globale vengano acquistate 56 milioni di tonnellate di vestiti ogni anno, e si prevede che nei prossimi 30 anni questa cifra triplicherà, aumentando a 93 milioni di tonnellate entro il 2030 e 160 milioni entro il 2050. Il modello del Fast Fashion ha spinto la moda a diventare una delle industrie più inquinanti del Pianeta, responsabile di emissioni tra 1 e 2,1 miliardi di tonnellate di CO2-eq.
Il Fast Fashion è, però, anche un modello economico che dà lavoro a milioni di persone e in cui miliardi di dollari vengono regolarmente spesi in macchinari, industrie e capitale umano. Quello che sicuramente possiamo fare è ridurre l’impatto ambientale del modello Fast Fashion introducendo materiali riciclati, efficientamento e energie rinnovabili. Sul lungo termine dobbiamo investire in un cambiamento culturale in base al quale approcci basati su durabilità, riparabilità, input sostenibili e riciclo sostituiranno quello che – alla fine – diventerà il “vecchio modello” di Fast Fashion ormai scomparso.
La delocalizzazione della produzione in Paesi con minori costi energetici e di manodopera e l’avvento dello shopping online hanno sicuramente innescato un aumento della produzione ma, paradossalmente, acquistare di più non significa necessariamente spendere di più. In Europa negli anni ’50 la spesa per l’abbigliamento rappresentava il 30% delle finanze familiari; nel 2009 questa percentuale è scesa al 12% e oggi è solo del 5%. Isn’t it ironic, come cantava Alanis Morissette?
Supponendo che il modello Fast Fashion proseguirà almeno per i prossimi 20 anni – il tempo necessario per recuperare gli investimenti fatti oggi a favore della sostenibilità – come possiamo affrontare il passaggio dal Fast Fashion a un modello di moda sostenibile? Ecco cinque trend che potrebbero potenzialmente cambiare le regole del Fast Fashion.
Sebbene le aziende possano fare riferimento ai principali standard e linee guida (EU Ecolabel, Global Organic Textiles Standard e Fairtrade Textiles Standards) che contengono tutti elementi relativi alla tracciabilità nel settore tessile, questi standard non includono tutti i materiali e i tipi di produzione utilizzati nella value chain del tessile e della pelle. Ciò significa che non abbracciano tutte le fasi della catena del valore, pertanto non forniscono una guida sufficientemente articolata per raggiungere una trasparenza totale.
Ciò rende difficile scegliere quale modello utilizzare, quali standard adottare e come e cosa segnalare e comunicare. Attualmente sono in atto sforzi concreti per identificare KPI standardizzati per misurare la sostenibilità attraverso iniziative e processi come Monitor for Circular Fashion; quindi, la seconda fase dovrebbe concentrarsi su investimenti in Ricerca e Sviluppo e collaborazioni con le istituzioni per garantire la tracciabilità della catena di approvvigionamento secondo linee guida che sono quanto più possibile standardizzati e inequivocabili per garantirne l’applicabilità.
Nel 2018 in Europa sono state prodotte circa 2,2 milioni di tonnellate di rifiuti tessili: il doppio rispetto a 20 anni fa. A causa dei forti impatti di questi rifiuti (emissioni di gas serra e rilascio di sostanze tossiche), il riciclo dei tessili sta diventando sempre più importante in Europa e rimane una delle questioni chiave da affrontare nel settore dell’abbigliamento.
L’uso di materiali riciclati anziché nuovi significa ridurre drasticamente l’utilizzo di risorse non rinnovabili e gli impatti negativi sull’industria come le emissioni di CO2, il consumo di acqua e l’uso di sostanze chimiche. Ripensare i processi per aumentare ulteriormente la quota di input riciclati, compreso il recupero dei rifiuti della catena di approvvigionamento, contribuirebbe anche a mitigare gli impatti della perdita di rifiuti, che in Europa ammonta a più di 100 miliardi di dollari di materiali ogni anno.
Se rivolgiamo la nostra attenzione alle emissioni legate ai vettori energetici, è interessante notare come i processi di elettrificazione ed efficientamento energetico, entrambi fondamentali per una transizione energetica globale, possano ridurre le emissioni di circa 1 miliardo di tonnellate entro il 2030. Possiamo quindi affermare che del 48% delle emissioni di GHG può essere mitigata lavorando sugli aspetti energetici del settore. In particolare:
Questi impatti potrebbero essere raggiunti immediatamente lavorando sull’efficienza energetica, sull’elettrificazione dei consumi termici e sul passaggio alle energie rinnovabili. Queste soluzioni sono già disponibili sul mercato oltre ad essere mature, pronte per essere implementate ed economicamente sostenibili.
Il mercato dell’usato è in crescita… e deve continuare a farlo! Si stima che – a livello globale – il mercato dell’usato raggiungerà un valore di 218 miliardi di dollari entro il 2026, crescendo tre volte più velocemente del mercato dell’abbigliamento in generale. Acquistare e vendere beni di seconda mano è diventato sempre più facile grazie allo sviluppo delle piattaforme digitali e al superamento della “vergogna sociale” legata al loro acquisto. Questi fattori contribuiscono fortemente a questa crescita.
Il mercato dell’usato non si limita più alla mera compravendita di beni tra consumatori privati. Questo mercato è in piena espansione quando i consumatori ne realizzano i vantaggi: è più economico e più ecologico. In risposta, grandi marchi e aziende stanno entrando sempre più in questo mercato:
La propensione all’acquisto di nuovi vestiti, l’accorciamento della loro vita utile e il conseguente aumento della produzione sono una causa diretta degli impatti ambientali dell’industria della moda, compreso il crescente sfruttamento delle risorse naturali. Per rispondere immediatamente a questi problemi, il settore deve considerare l’introduzione di nuovi modelli di business, come il product-as-a-service (prodotto come servizio, tradotto letteralmente).
Questi numeri possono sembrare modesti, ma se immaginiamo che un capo può essere noleggiato più volte, ad esempio 50, dobbiamo considerare che questo soddisferà le esigenze di una cinquantina di persone che non dovranno acquistare qualcosa di nuovo. Ovviamente alcune categorie di noleggio sono migliori dal punto di vista ambientale: ha più senso noleggiare un abito per un evento speciale una tantum, piuttosto che un paio di jeans o un cappotto che, una volta acquistati, possono essere indossati più volte per anni venire.
Per gli abiti “non noleggiabili”, una soluzione che sta iniziando a farsi strada sul mercato sono le Garanzie Estese e i Servizi di Riparazione. Da segnalare la nota iniziativa di riparazione “Patagonia Worn Wear” . Questo permette ai clienti Patagonia di far riparare gratuitamente i propri capi, allungando così la vita utile dei propri capi ed evitando, o almeno ritardando, il momento in cui diventano rifiuti e si devono produrre e acquistare nuovi capi.
Il contesto mondiale sta sicuramente reagendo come mai fatto prima d’ora. Se approvato, il Fashion Sustainability and Social Accountability Act di New York (Fashion Act), annunciato all’inizio del 2022, sarebbe il primo del suo genere negli Stati Uniti a tentare di imporre obblighi legati alla sostenibilità sui più grandi marchi della moda.
A partire da gennaio 2022, il Regno Unito verifica se le aziende fanno greenwashing, con particolare attenzione ai marchi di moda e tessili e con l’obiettivo di raggiungere la trasparenza sulle dichiarazioni di sostenibilità.
Anche a livello europeo questo problema sta diventando sempre più centrale e la Commissione europea sta lavorando a un percorso di transizione affinché l’ecosistema tessile possa raggiungere con successo transizioni verdi e digitali e diventare più resiliente.
Nell’ambito della strategia dell’UE per i tessili sostenibili e circolari, la visione 2030 mira ai seguenti obiettivi:
Un approccio circolare piuttosto che usa e getta ai vestiti per diventare la norma, con sufficiente riciclaggio e minimo incenerimento e smaltimento in discarica
Non vedo l’ora di vedere quanto va veloce questo processo.