Frankenstein: 40 tipi di frutta dallo stesso albero!

Condividi l'articolo

È possibile sfamare 10 miliardi di bocche in maniera sostenibile? Uno studio della Stockholm University, pubblicato su Nature Sustainability, ha riscontrato la violazione di ben 4 limiti planetari; in particolare, il nostro sistema di produzione di cibo attuale usa troppo azoto, consuma troppa acqua dolce, abbatte troppe foreste e riduce la biodiversità marina e terrestre.

È quasi irrealistico pensare oggigiorno di innovare senza traguardare obiettivi di sostenibilità. Innovare significa anche guardare indietro a pratiche e tecniche antiche collegate a quello che oggi definiamo economia circolare. Altre volte, invece, bisogna spingere le conoscenze oltre i confini tradizionali, apparentemente verso l’eccesso, con l’obiettivo di scorgere nuove opportunità.

L’albero da 40 frutti diversi

Proprio grazie all’innovazione si potrebbero sfamare 10 miliardi di persone in maniera sostenibile, ed è questo il caso di Sam Van Aken, professore alla Syracuse University, che è riuscito ad innestare diverse piante di drupacee (come pesche, prugne, albicocche, nettarine e ciliegie) per creare un unico albero in grado di produrre 40 diversi tipi di frutta.

Poiché queste drupacee sono molto simili nella loro struttura cromosomica, Van Aken ha deciso di combinarle utilizzando un processo di “innesto di trucioli“. In primavera l’albero, rinominato Frankenstein, fiorisce nei toni del rosa, cremisi e bianco, e durante l’estate porta i vari frutti in serie.

L’idea nasce da una passione per le tecniche di innesto, con la volontà di esplorare i limiti e le potenzialità di questo processo. L’ottenimento del risultato finale è stato frutto di una ricerca di diverse varietà di drupacee che potessero funzionare per il progetto specifico, che prevede anche un mix di varietà rare ed antiche in modo da poterne preservare la conservazione.

Uno degli obiettivi è stato quello di creare una sorta di scultura vivente e allegorica per avviare un dialogo sulla simbiosi del rapporto dell’umanità con la natura, soprattutto connessa al mondo agroalimentare che rappresenta uno dei settori chiave per il processo di transizione ecologica. Una scultura che potesse rappresentare come la natura può – attraverso il rispetto e la conoscenza – essere messa a supporto dell’umanità in un’ottica di equilibrio e di crescita congiunta.

La relazione tra uomo e suolo

La relazione tra uomo e terra rientra infatti all’interno del perimetro di simbiosi. L’uomo dipende dal suolo, che gli dà da millenni tutto il cibo (il 97%) che lui ha bisogno. Ma il suolo fa molto di più di questo:

  • assorbe e depura acqua;
  • trattiene tantissimo carbonio, che altrimenti diverrebbe anidride carbonica irrespirabile e riscaldante l’atmosfera;
  • è base per la vegetazione grazie alla quale respiriamo;
  • è scrigno di vitale biodiversità (almeno il 25% di tutta quella terrestre);
  • trasforma i rifiuti organici in cibo per le piante che a loro volta diventano cibo per noi e per molti animali;
  • è vitale per i cicli biogeochimici di molti elementi fondamentali come carbonio, potassio, azoto;

e così via.

Tutto quel che fa il suolo contribuisce a generare le migliori condizioni di vita sulla Terra. Senza il lavoro silenzioso e costante del suolo noi non saremmo qua e non vivremmo un giorno di più.

Seguendo i modelli attuali, siamo in grado di sfamare solamente 3,4 miliardi di individui in maniera sostenibile rispetto agli 8 miliardi complessivi e sicuramente la prima soluzione da mettere in pratica oggi stesso è quella di ridurre gli sprechi alimentari attraverso una fuoriuscita graduale dal sistema consumistico attuale e rivedere la nostra dieta e optare per una riduzione del consumo di carne.

Ma l’alimentazione non è l’unico collegamento con la terra: anche il settore della moda è strettamente legato all’agricoltura e anche in quel caso è necessario rivedere i nostri stili di vita e le attuali regole del fast-fashion per poter mettere in piedi una vera simbiosi tra l’uomo e l’ambiente.


Condividi l'articolo
Prev PostPerché il Kintsugi è un modello di riferimento per l'economia circolare?
Next Post