Il Kintsugi (pronuncia: chinzughi – che unisce le parole kin, cioè oro, e tsugi, riunire o riparare) è un’antichissima tecnica giapponese che consiste nella riparazione di oggetti rotti tramite l’applicazione di lacche mescolate a polveri di metalli preziosi, come oro e argento, da inserire tra le crepe o plasmandoli nella forma del pezzo mancante. E rappresenta un modello di riferimento a cui un circular economy manager dovrebbe sempre ispirarsi.
Come forma d’arte, il Kintsugi iniziò ad evolversi nel XV secolo, durante il periodo Muromachi (1336 – 1573): una leggenda vuole che lo Shogun (il più alto titolo militare possibile) Ashikaga Yoshimasa, dopo che la sua tazza da tè preferita si ruppe, commissionò la riparazione a degli artigiani in modo che fosse ancora utilizzabile e degna della sua carica. Per riuscire nell’impresa, gli artigiani utilizzarono della lacca naturale mescolata con polvere d’oro, ottenendo un risultato strepitoso dal punto di vista artistico e artigianale (nonché funzionale).
La parola “kintsugi” si scrive con i kanji 金継ぎ, che rispettivamente significano “oro” (金) e “aggiustare” (継ぎ). Letteralmente possiamo tradurlo con “aggiustare con l’oro” o anche “toppa dorata”.
Ogni oggetto riparato con questa tecnica, infatti, diventa unico nel suo genere. Non sarà mai possibile rompere due pezzi in maniera identica. Il risultato finale, dopo essere stato aggiustato, sarà sempre un pezzo d’arte unico al mondo.
Si possono riassumere le tecniche di Kintsugi, in maniera molto semplicistica, raggruppandole in tre categorie:
Il Kintsugi ha infatti una forte valenza filosofica, sia per gli artigiani che eseguono la riparazione, sia per chi assiste al processo o riceve l’oggetto riparato. Riparare è una forma di terapia psicologica molto potente, poiché trasferiamo un possibile evento negativo della nostra vita sull’oggetto rotto. Il Kintsugi è spesso associato alla resilienza, la capacità di rialzarsi sempre dopo una caduta.
Il Kintsugi si collega con uno dei 5 modelli dell’economia circolare ed in particolare con quello dell‘estensione della vita del prodotto (mantenere le nostre cose in uso più a lungo) che si concentra sull’allungamento del periodo di tempo in cui un prodotto può essere utilizzato prima di smaltirlo. L’obiettivo è massimizzare sia la durata che l’utilizzo, aumentando il valore estratto dai prodotti prima che vengano scartati. Il modello vuole inoltre limitare la quantità di risorse naturali utilizzate da un’azienda. I prodotti che diventano rapidamente obsoleti o sono realizzati con materiali di bassa qualità e scartati stanno essenzialmente sprecando gli input di risorse che sono stati utilizzati per realizzarli. Creando prodotti che durano più a lungo o riciclando quelli che diventano obsoleti, questo modello può ridurre il nostro bisogno di nuove risorse vergini.
Secondo la visione di Patagonia, questa è “l’unica cosa migliore che possiamo fare per il pianeta” come singoli consumatori. E – fortunatamente – Patagonia non è l’unica azienda che consente ai suoi clienti di farlo perché ci sono tantissime opportunità come ad esempio le tecniche di rigenerazione (basti pensare ai cellulari). Queste aziende si concentrano sul rendere accessibili le parti e riparare facilmente i prodotti. Nel tempo, prolungare la vita del prodotto attraverso un’adeguata cura e riparazione riduce la necessità per le persone di acquistare di più. Sfortunatamente, questo semplice atto che porta a evitare emissioni di CO2, produzione di rifiuti e consumo di acqua non è ancora una tendenza comune.
Al giorno d’oggi, la maggior parte dei prodotti si guasta prima che i proprietari lo desiderino. Prolungare la vita dei prodotti è una direzione semplice ma efficace per la progettazione di modelli di business circolari da parte delle aziende.
Gli esempi di estensione delle vita utile o kintsugi sono:
Ma l’estensione della vita del prodotto è sempre una buona idea in termini di sostenibilità? Non necessariamente. Realizzare prodotti con la durata di vita più lunga possibile di solito significa utilizzare più risorse per ottenere una struttura più robusta. Se la durata di un prodotto è più lunga di quanto l’utente ne abbia effettivamente bisogno, queste risorse extra vengono sprecate.
La cosa migliore da fare sarebbe ottimizzare l’abbinamento del prodotto alle esigenze dell’utente. I prodotti non devono durare più a lungo di quanto un cliente li utilizzerà. Ad esempio, strumenti come un trapano non devono funzionare per un totale di 25 anni continui, poiché un tuttofare medio potrebbe averne bisogno per – diciamo – 3 anni in totale. O ancora, il tessuto di un asciugamano per bambini non deve durare fino a quando il bambino compia dieci anni.